Autobiografia

Autobiografia Nanni Valentini

Testo scritto da Nanni Valentini il settembre 1983, nella circostanza di ricerca e stesura della prima Tesi di Laurea interessante la sua attività artistica.

Arcore, 9/1983

Questo elenco di dati sono scritti, non per me, ma per quanti volessero occuparsi del mio lavoro, il quale non ha avuto in me, per quello che riguarda ordine, continuità e promozione, un amico ma anzi un tenace avversario.

Questo comportamento non è invece avvenuto per il proseguimento cocciuto di una idea che dal 1960 è stata per me definitiva. Di questa idea devo molto ad amici ed artisti quali: Nicola Amoroso, Adelio Maronati, Claudio Olivieri, ma soprattutto alla lucida ideologia di Paolo Schiavocampo.

Sono cosciente della sua modestia, dei limiti della sua estensione e della minima portata nel dibattito plastico. Idea che mi ha portato a perentorie agitazioni, stasi distruttive, silenzi pesanti e rimozioni imperdonabili.

Un’idea che privilegia la differenza, l’individualità, quindi una distanza con presunta originalità, anche se la cosa che ho sempre amato e maggiormente vissuto fisicamente e spiritualmente sono stati gli avvenimenti sociali politici e ideologici. Un’idea che ha il suo principio estetico nel credere che la poesia viva, oggi più che mai, nell’area degli interstizi, anche fra i più sottili.

A mio padre musicista feci vedere un albero illuminato di notte; gli dissi che sembrava una figura con una testa: lui apprezzò ma non la vide; mi spiegò che era una mia immagine.

Da allora, anche se non è stato vicino nelle idee non ha mai smesso di fare sacrifici incredibili perché potessi lavorare.

Dopo le medie sognavo di fare il liceo artistico a Firenze: occorreva sette in Latino per entrarvici.

1944             Dopo la guerra riprendo la seconda media dove sono respinto.

1945              Inizio la Scuola d’arte per decorazione ceramica — 5 anni – Avrei preferito essere a Urbino ma la famiglia non poteva.

1945/1949     Ho appreso l’Istoriato Pesarese: disegni su carta, spolvero e pittura su smalto crudo. Tecnica simile all’affresco e alla pittura murale in genere. I soggetti erano copie di quadri del 1400. Dipinti in trasparenza. Verso la fine i disegni erano di nostra creazione.

Il verde rame sopra il bianchetto dava un verde smeraldo bellissimo.

Interessante fu la fabbricazione dei pennelli con il pelo degli orecchi del bue vivo e montati su canne semplici con spago e colla.

Ci fù il prof. Andreani per questi lavori: fu allievo di Ferruccio Mengaroni, aveva una esperienza acquisita nelle botteghe pesaresi.

Prof. Melis – ceramista sardo – mi insegnò in progettazione l’arte sarda fata di cacce e motivi decorativi.

Prof Borgiotti – architetto – mi fece progettare lavori più personali Prof Gallucci – mi insegnò il disegno dal vero e soprattutto unì vari studenti attorno al suo lavoro di pittore. Questa attività di disegno e di pittura a olio l’ho lasciata nel 1955.

A Pesaro esistevano due realtà: le botteghe di ceramica dove si decoravano in istoriato scene popolari e di tradizione e quella appunto di Gallucci ed altri basata sul ‘900 con aperture a Morandi, Semeghini, Tosi e De Pisis.

Questa realtà avvolgeva tutto il mio clima culturale: chiuso e limitato ma che oggi io ritrovo non nella memoria ma nei valori.

1949/1953     Mi iscrivo all’Istituto d’arte di Faenza

La scuola di Pesaro non dava aperture se non quella di un lavoro qualificato nelle botteghe. Col diploma di Faenza si accedeva  all’insegnamento, cosa che feci solo nel 1968

Una didattica basta sulla riproduzione e decorazione, per lo più geometriche, di oggetti i Faenza e su una plastica di bassorilievi ornamentali.

Questo era quanto di più lontano ci fosse dalla mia esperienza di Pesaro.

L’insegnamento di Biancini ha fatto sì che io continuassi a dipingere sullo smalto e coltivassi le creazioni personali. Ma la didattica di questo prof. è stata l’estrema libertà di lavoro di vita.

Ci faceva Lavorare nelle sue opere, monumenti in genere, e quel lavoro di bottega e di alta professionalità, specialmente nella lavorazione dell’argilla e del gesso, fu fra le cose più positive di Faenza. È con lui che imparai ad ammirare Arturo Martini e Donatello e a credere nella mia fantasia.

Mi portò in Assisi dove Felice Carena conversò molto sopra i miei disegni creandomi delle forti emozioni.

Uno dei fatti positivi fu l’incontro di compagni di scuola che venivano da ogni parte d’Italia.

L’informazione che avevamo dal museo più importante d’Europa.

È qui che arrivarono le prime Ceramiche di Picasso in Italia

Finii il corso con una tesi fatta con grandi disegni di animali, specialmente cavalli, scene di vita collettiva quali: processioni, carnevali e mercati (alcuni di questi disegni li ho regalati al prof. Biancini che ancora oggi li conserva).

10/1951          Nell’anno 1951-1952 mi ammalai e tornai Pesaro perdendo l’anno. È in questo anno che lessi molto specialmente su autori russi. Illustrai un libro di Gogol

4/1952             e durante la convalescenza vissi con mio padre nell’Appennino marchigiano. Li approfondii la mia conoscenza della musica classica, cominciai ad amare Cézanne e Van Gogh. Feci molti quadri e disegni dell’Appennino.

6/1952             Comincia a lavorare qualche ora alla bottega di Bruno Baratti. Affittai uno studio con Oscar Piattella ancora oggi amico e collega fra più fraterni.

Alla Biennale di Venezia conosco la pittura di Licini, vado a trovarlo ma lui non c’era: c’era però il suo paesaggio ancora oggi oggetto del mio lavoro.

1953/1955     Diplomato continuo il lavoro da Bruno Baratti e nello studio, dove dipingo e disegno.

La scuola di Faenza abituava ad un comportamento di superficiale ricezione (tutti noi facevamo delle esperienze astratte e figurative senza curare i loro contenuti) per cui tornando a Pesaro ero trasportato a non considerare seriamente queste esperienze e ripresi l’insegnamento di Gallucci basato sulla riflessione da oggetti e cose dal vero.

10/1953         Mi iscrivo all’Accademia di Bologna con Mandelli e Guidi. Interessava disegnare la figura classicamente.

L’insegnamento di Guidi  – pochissime lezioni – e una lezione di Giorgio Morandi mi aprirono la mente.

A Bologna conobbi Ghermandi nello studio di Carlo Negri (amico di scuola di Faenza) e con lui a Firenze avvicinai Farulli e Moretti – allora astratti.

A Pesaro formai un gruppo con Giuliano Vangi, Loreno Sguanci e Oscar Piattella.

6/1954            Partecipo alle prime mostre di pittura e espongo anche un piatto decorativo a Faenza.

Sassoferrato (Marche), S. Angelo in Vado (Marche), Ancona, Faenza -ceramica-.

Sono di questo periodo una serie di ritratti, quadri di carrettieri, disegni di stalle e soprattutto disegni del porto e del fiume – luogo ancora molto presente.

Leggo Marangoni, scritti di Arturo Martini, scritti su Cézanne. Mi sposto da Pesaro per mostre importanti.

Fra le cose più pregnanti ci fu la mostra di Fattori a Firenze e quella di Picasso a Milano.

1955                   Incomincio a sperimentare, nello studio di Baratti, terrecotte con ingobbi e graffiti. In pittura tento un’astrazione che segue esperienze già di Santomaso Pirandello e Saetti.

10/1955           In ottobre vado a Parigi con Ulrico Schettini (ora U. Montefiore)  – già compagno di scuola di Pesaro per trovarvici uno studio.

Visitammo gli studi di G. Bertini, L. Boyle, Arnal, Jorn e Corneil.

Di Jorn e Corneil mi colpirono le loro Ceramiche eseguite ad Albisola anche per l’affinità con la mia ricerca di Pesaro.

Sempre a Parigi vidi una mostra di Burri, alcuni quadri di Wols e di Bissier, e una grande esposizione di Germaine Richier.

Di G. Richier è stata per me importante la tecnica del negativo con la quale feci dei grandi bassorilievi in cemento.

Tecnica approfondita e portata alle estreme conseguenze da Arnaldo Pomodoro.

Tornai da Parigi carico di idee e di progetti uno dei quali fu un lavoro con mattoni forati rotti e ricomposti che mi fecero avere, più tardi la borsa di studio per Parigi.

Sono di questo periodo ricerche con la sabbia, con la cera e catrame.

Esposizione di San Marino:  
ebbi con un lavoro di questi, una segnalazione.

Il 26/12/1955 mi sposai, a Genova, in viaggio di nozze conobbi Emilio Scanavino.

1956                Continuai questa sperimentazione con viaggi frequenti a Roma, sempre in compagnia di U. Montefiore.

Conobbi Giuseppe Marotta, E. Villa. Giuseppe Liverani della galleria la Salita mi tenne dei disegni. Da lui conobbi Gastone Novelli.

5/1956            Vado a Milano dai fratelli Pomodoro per un lavoro durato un mese.

Li conosco Roberto Sanesi, Enrico Baj.

Sanesi mi fece leggere la sua traduzione del poeta Dylan Thomas, esperienza per me molto importante.

Con i fratelli Pomodoro feci lunghe conversazioni sulle esperienze comuni.

6/1956            Mandai a Faenza delle piastre ingobbiate e Invetriate dove ebbi il Premio Faenza.

In quella occasione conobbi Guido Gambone e Albert Diattò

8/1956           Con lavori simili ebbi il Premio Vicenza di ceramica.

In questo periodo feci lavori in terracotta, su carta con inchiostri tipografici, disegni di paesaggi sempre più astratti.

Più tardi vidi come questo lavoro era un voler prendere contatto non con cose della provincia ma con ciò che in Europa c’era di più vivo. Tranne le tavolette d’argilla e i disegni di radici, gli altri lavori hanno subito un distacco dall’interno troppo lacerato e poco drammatico.

1957/1961    Seguitai la sperimentazione e mi spostai spesso a Faenza per frequentare A. Diattò che poi mi insegnò la tecnica del grès Conosco Luigi Massoni e sono invitato alla Triennale di Milano con oggetti di grès graffito (vasi e ciotole).

Con Diattò e Marisa Tommaseo vado a Venezia dove conosco Luigi Nono e Tancredi con il quale feci amicizia che ci farà frequentare, ad intervalli, fino alla sua morte.

6/1957            Diattò si trasferì a Pesaro dove lavorammo e progettammo lo studio che in ottobre apriremo a Milano.

7/1957            Espongo tre quadri in Ancona, sono ormai – informali –  eseguiti con nitro e sabbia.

10/1957         Mi trasferisco con Tina, Tiziana e Marco (fratello di Tina) a Milano. Sono aiutato dai fratelli Pomodoro a introdurmi nell’ambiente milanese. Attraverso loro conosco Lucio Fontana e Ettore Sottsass.

Porto disegni e quadri alla galleria dell’Ariete e incomincio il lavoro di ceramica con maiolica graffita e ingobbiata.

11/1957         Espongo alla galleria La Salita disegni e ceramiche Con U. Montefiore, Pozzati, Novelli e altri.

Faccio amicizia con giovani di Firenze – Masi, Baldi, Fallani, Guerrieri ecc, – e con loro esposi alla galleria Numero.

Frequento quotidianamente i fratelli Pomodoro dove mi allargo la conoscenza dei processi dell’arte dell’avanguardia.

Loro, in questo periodo, erano molto attivi e creativi.  Il loro studio era frequentato da tanti artisti. Montai una mostra di Arnaldo a Torino e lì conobbi Spazzapan.

1958               Inizia con Tina e Marco l’esperienza del grès.

Una esperienza questa molto intensa e dove tutte le nostre nozioni dovevano essere completamente rinnovate.

Le difficoltà economiche e l’inquietudine di amicizia hanno maggiormente  drammatizzato questo periodo che pero resta il periodo più intenso di tutta la mia attività.

4/1958            Lucio Fontana frequentava il nostro studio Aiutandoci con l’acquisto di lavori e con i consigli di un maestro.

Feci sculture, ciotole, piastre, vasi ed esposi questi lavori, con la presentazione di L. Fontana alla galleria dell’Ariete.

Erano lavori di terracotta greificata con poco smalto. Gli impasti del grès davano a queste opere un suono diverso.

Economicamente fu un fiasco. I nostri soli compratori furono: Fontana, un compratore americano, E. Sottsass il quale contribuì molto alla vendita, poi, di altri oggetti.

6/1958            Lucio Fontana mi fa esporre alla mostra Internazionale di New York dove vinsi il primo premio (Syracuse Museum).

Era una grande ciotola con l’interno smaltato fuori graffita.

Partecipo con questi lavori al Concorso di Faenza dove sono premiato.

Per ragioni economiche già esposte, rimasi a condurre lo studio da solo. Marisa Tommaseo che frequentava lo studio lavorandoci era ancora troppo inesperta. Mori l’anno dopo per un incidente stradale.

Conosco Franco Meneguzzo le cui Ceramiche già conoscevo da un anno.

La sua conoscenza è stata per me importante in quanto rivedevo in lui gli stessi problemi che avevo pittura e ceramica.

La borsa di studio di Parigi fu da me parzialmente usata, quindici giorni al mese fino a febbraio 1958 Ci andai spesso con Diattò, con lui conobbi Boulez il musicista, amici di Wols e tanti artisti che portavano avanti l’esperienza del segno e dell’Informale in genere. Visitai lo studio di F. Del Pierre, ceramista  e con lei vari gruppi esistenzialisti.

La scuola invece era molto scolastica, per questo la frequentai poco.

Mi impressionò molto la pittura di Braque.

10/1958         Cominciai con Luigi Massoni un gruppo di opere seriali,  – serie natura – con la quale vincemmo il primo premio per la produzione.

Qui comincia il mio distacco dal disegno e dalla Pittura.

Gli esperimenti che facevo erano sempre più separati e soprattutto sentivano l’influenza di quanto faceva Giò Pomodoro.

Leggo molto Pavese, Vittorini e Calvino.

1959                 Il mio lavoro di ceramica è ora riconosciuto specialmente all’estero e la serie natura entra nei negozi più prestigiosi d’Italia (Gavina ecc.)

Frequento Bepi Romagnoni, che già conoscevo da Roma. Conosco Paolo Schiavocampo e sua moglie Renata. Fra di noi nascerà quell’amicizia che sarà fondamentale per la mia vita.

E’ lei che mi fa leggere Jung e Nietzsche  e soprattutto i Presocratici che mi saranno da modello nell’attuale ricerca.

Sono lontane dalla produzione le sculture e la pittura è completamente ferma, i disegni sono duri e con troppi echi culturali.

6/1959            Riprendo con grandi carte e quadri con gesso bianco l’attività di pittore. Espongo due quadri a Roma al Circolo Marchigiano – sono quadri con grandi Lettere e fondi d’argento con segni liberi.

Piacquero molto a Scanavino e ai fratelli Pomodoro e per questo mi portarono in studio Guido Ballo e successivamente Grossetti e stabilimmo una esposizione.

10/1959         Continuai sulla doppia attività come facevo a Pesaro.

Tancredi mi disse che avrei dovuto scegliere perché i miei disegni erano vuoti.

12/1959         Conobbi da Grossetti l’allora gruppo del Realismo esistenziale di cui Tino Vaglieri e Bepi Romagnoni erano i più attivi.

La conoscenza di T. Vaglieri mi turbò moltissimo per il contenuto umano e come ricerca plastica, cosi come stimai molto G. Bellandi con il quale strinsi una amicizia produttiva e di stima.

Conobbi il poeta Bosco la cui poesia mi fece capire come la nostra fantasia era ancora trompe-l’oeil.

Feci grandi disegni sull’autostrada e sulla metropolitana di Milano. Fontana, che frequentava sempre il mio studio, mi disse che c’erano troppi richiami naturalistici.

Il mio studio era frequentato quasi quotidianamente da giovani come R. Pieraccini che ci abitò, da Spagnulo, da Bruno Bruni e Adelio Maronati.

1960                Continuo allo studio di ceramica l’attività ormai riconosciuta. Feci un grande lavoro con Fontana che per ragioni esterne del luogo doveva essere in grès.

Fu una esperienza bellissima perché potevo verificare Fontana artigiano oltre che artista.

Mi portò con lui a Faenza, Rimini e Venezia, mi regalò un grande vaso che diedi poi al museo d’Olanda perché Fontana si era ammalato.

Partecipo alla Triennale di Milano con grandi vasi e con il proseguimento di lavori seriali con Luigi Massoni. Mi diedero la medaglia d’oro.

In questo anno si fa il trasloco dello studio da viale Caldara a viale Misurata. Vicino abitavano Tancredi, che veniva spesso a trovarmi, e Claudio Olivieri.

Ripresi la pittura; furono mesi densi che mi portarono a profonde crisi e queste a distruggere tutti i quadri bianchi e metallizzati. Disegnando riflettei molto su me stesso, su questi doppi lavori che mi portavano dei contenuti cosi diversi ma altrettanto validi. In ceramica i significati non mi sfuggivano, in pittura avevo perso ogni fiducia nella sperimentazione che ora consideravo vuota e fine se stessa. La conoscenza di Chighine e l’amicizia e l’esperienza ideologica di Schiavocampo mi aiutarono a superare la crisi facendo sì che questo avvenisse all’interno stesso del fare il pittore.

Allora trovai un segno che non era separato dalla materia e che questa aveva una densità più plastica. Era un inizio.

10/1960         Esposi questa esperienza alla galleria Annunciata con presentazione di Guido Ballo. Il discorso era sull’uomo. Testa, dorsi, paesaggi. Una ricerca sul segno ma organizzato in uno spazio non speculativo (Olivieri). Questa mostra mi permise di conoscere diventare poi amico di Livio Marzot e Claudio Olivieri con il quale ancora oggi ho rapporti di lavoro.

Conobbi anche Roberto Scuderi ed ebbi per lui una profonda stima (poco dopo morì).

Anche la ceramica divenne più viva e problematica. Ripresi i temi della pittura nelle piastre che però non esposi mai.

Fui invitato al Premio Apollinare vinto poi da Bepi Romagnoni.

1961                Traslocai ed andai ad abitare in via Veronesi alla Fiera nella casa dove abitava Testori. Lo conobbi (allora mi colpirono molto i suoi libri, cosi lui) Vicino abitava Bellandi e ci frequentavamo spesso.

In gennaio feci visita ad A. Diattò in Provenza dove feci molti acquarelli e lessi Camus. Visitai Vallory dove conobbi molti ceramisti. Era una vita molto lontana da quella che si faceva a Milano.

Con Diattò che era un intellettuale fra i più colti e lucidi che ho conosciuto ho riflettuto molto e mi convinsi di approfondire la ricerca plastica lasciando quella dell’oggetto. I problemi economici che si affacciarono a questa scelta furono grossi e costrinsero me e Tina a dividerci.

Nel frattempo feci una sintesi dell’esperienza degli oggetti, la mandai a Faenza e vinsi il Premio Faenza.

Da allora non mi sono più occupato dell’oggetto come ricerca. Sottsass mi disse che un artista poteva avere una sola idea dell’oggetto in tutta la vita.

L’oggetto e il suo legame con la plastica mi diede non poca amarezza quando un amico scultore a cui feci presente come la sua opera era uguale alla mia mi rispose che la mia era solo un oggetto.

Lo studio rimase aperto (quello di ceramica) solo per poche operazioni.  Tina e Tiziana tornarono a Pesaro e io presi uno studio in via Mortara con Paolo Schiavocampo per abitare e lavorare.

1960/1961    Andai ad insegnare alla Scuola Cova dove rimasi solo due mesi.

Fino a dicembre mi chiusi a lavorare. Feci pochi quadri ma tanti disegni per lo più progetti, cartoni e molti appunti su argilla (terracotta). Questa attività mi fece avvicinare a Livio Marzot e Claudio Olivieri per l’affinità dei contenuti. L’impostazione di questi disegni era una ricerca che si basava sulla riflessione della nostra cultura più prossima: il ‘900, ma anche con l’uso di segni che avevamo sperimentato nelle esperienze precedenti. Furono disegni e studi su: Sironi, Carra, Martini, Viani.

Non piacquero molto a Fontana che però mi acquistò alcuni bozzetti in terracotta che consistevano in teste e dorsi dentro forme geometriche: una specie di figurazione senza però gli equivoci che il tema comportava.

Lo studio di via Mortara era posto in un rione ricco di persone del mio ambito. C’era una osteria (osteria di via Magolfa) dove conobbi Malo Brass, Vittorio Basaglia, Ivan Della Mea e un gruppo che faceva capo ad Adelio Maronati.

Furono dei mesi meravigliosi di intensa partecipazione e concentrazione.

Le vicissitudini che mi coinvolsero poi non mi fecero più portare avanti questi studi che rimasero per anni solo dei desideri disegnati o incisi sulla terra. Ripresi il discorso cercando di realizzarlo solo nel 1973.

11/1961         Esposi a Fano, con la presentazione di Volpini, disegni e ceramiche.

1962                 Dietro consiglio del medico – il mio sistema nervoso non reggeva più – decisi di riposarmi per un periodo e andai a Pesaro.

Contribuii alla fondazione del – Laboratorio Pesaro – (laboratorio di ceramica) il quale si trasformò per me in una serie di equivoci e mi coinvolse in problemi fuori dalle mie scelte. Smisi dopo pochi mesi di parteciparvi ma il legame di amici come Pieraccini, Nicola Amoroso e più tardi Pino Spagnulo mi legò in quel luogo, anche se a periodi alternati, fino al 1965.

Questo però non mi evitava di portare avanti, sia pure con molta lentezza, il discorso intrapreso. Erano sempre ambienti per lo più geometrici con volti e figure.

Questi motivi erano affini alla ricerca di Adelio Maronati e più tardi a Pino Spagnulo.

9/1962            Tornai a Milano dove continuai a lavorare e frequentare L. Marzot e C. Olivieri a cui si erano aggregati M. Cordioli e Riccardo Emma. La ricerca ci legava e ci fece progettare la mostra che si fece poi nell’aprile del 1963 e a cui parteciparono anche Valentino Vago Ghinzani e Ferrari.

1963                Nel novembre 1962 venne in via Mortara P. Spagnulo e dopo pochi mesi di lavoro fui di nuovo costretto a smettere perché Schiavocampo se ne andò e al suo posto vennero due amici per abitarci. La trasformazone dello studio in abitazione infatti durò qualche mese. In questo periodo C. Grossetti mi acquistò gli ultimi disegni e la situazione economica nuovamente mi costrinse ad andare a Laveno per riprendere il lavoro della ceramica che però andò male.

Fummo sfrattati.

Nell’estate mori Nicola Amoroso. Io tornai a Pesaro. In agosto andai un mese in Sicilia per una extempore (a Trapani) dove dipinsi quattro quadri piccoli con delle storie con un’idea molto vicina a quello che cercavo. Furono apprezzati da Franco Russoli e Franco Solmi. Li conobbi Guccione e Ennio Calabria; Visitai il museo etnografico dove presi molti appunti che mi servirono per lavorare a una serie di disegni e quadri andati poi persi che però proseguivano l’idea di una ricerca con segni dell’arte popolare.

10/1963         Con P. Spagnulo prendemmo uno studio in C.so S. Gottardo dove più tardi si aggiunse Nino Crociani.

Dopo i primi mesi di entusiasmo anche questa esperienza si tradusse, per me, in maniera negativa – sia per ragioni economiche che di rapporti di lavoro -. Infatti il tempo di lavoro era sempre più occasionale e la crisi confusionale sempre più angosciosa. Non lasciai subito lo studio sia per riguardo all’amico e forse nella speranza di non perdere tutti i contatti.

1964                 Feci un viaggio in Puglia per un lavoro che feci con Spagnulo. In Puglia disegnai molti fogli con impressioni del paesaggio e degli oggetti – specialmente quelli di ceramica -. Fui impressionato dall’architettura pugliese e dalla natura del luogo.

Ero a Milano poche volte e disegnavo soprattutto nelle osterie, nei luoghi di periferia.

A Pesaro, dove passavo la maggior parte del tempo, facevo esperimenti con acqueforti.

1965                 La morte di Tancredi mi lasciò un grande vuoto e uno smarrimento che mi portò a lasciare definitivamente Milano non dopo aver fatto sì che a Pesaro Spagnulo potesse prepararsi per l’esposizione da Grossetti.

1966                A Pesaro mi organizzai e cominciai diversamente ad impostare il lavoro. Smisi di pensare a quella ricerca e mi misi a studiare la pittura del’400 (tecnicamente) con P. Muratori.                           

Feci copie nel museo di Pesaro di pitture su tavola, spostai la ricerca alla pittura del ‘700 con lo studio di pittori locali.

Feci un viaggio in bicicletta sui luoghi dove si fermò Lorrain e a Roma dipinsi una copia (un particolare) di un suo celebre quadro. Mi interessai agli stucchi e alla scultura popolare marchigiana e senese.

Studio che mi portò a capire, cosi come lo era stata la visita al museo etnografico di Palermo, la natura del segno che cercavo, che non era solo quello dell’identità ma della individuazione e della sua proiezione in un oggetto simbolico: cioè una pittura in rilievo o di una scultura dipinta.

È solamente una mia interpretazione soggettiva quella di credere che anche Fontana avesse questo problema: una pittura a tre dimensioni.

Tornava perció l’archetipo dell’oggetto come processo simbolico verso un referente che in questo caso era all’origine.

Oggi che questo problema l’ho più chiaro, penso che si possa fare una ricerca e un segno risalendo all’origine linguistica dove presentare e rappresentare sono tutt’uno. L’evoluzione del significante ha rimosso il problema. La conoscenza è intesa quindi come un rapporto di simultaneità. C’è solo il segno che precede e che di-segna l’oggetto mentre si sta rappresentando.

Ho vissuto tutto questo periodo fino all’aprile del 1967 nel più completo isolamento e dal 1963 non ho più visto esposizioni né frequentato luoghi di “cultura”.

4/1967           Feci una serie di disegni e bozzetti per trasferire nel volume quello che facevo nel piano. Portai questi lavori in grandi dimensioni e li esposi a Milano alla galleria Grossetti. Non fu una mostra riuscita perché, sia il materiale da me non ancora capito, sia l’urgenza che tradiva il contenuto non hanno permesso una elaborazione più lunga e pensata.

Questo però non toglie validità all’idea che c’era e il comportamento dei miei compagni di viaggio, in quella circostanza, non fu dei più corretti. Da qui il fatto che non mi sono più legato a nessuno di loro, tranne che a Claudio Olivieri che si mostrò più sincero.

Il clima milanese in quel periodo era Fagocitato dalle idee che venivano dalla cultura americana.

A Pesaro organizzai una mostra di manifesti politici e una di grafica ungherese con l’amministrazione comunale, Partecipai a seminari sul cinema dove conobbi e scambiai idee con Pasolini e Mecas, mi occupai di semiologia del cinema.

Concorro e vinco una borsa di studio in Polonia per l’incisione. Ho contatti con gruppi politici di Sesto San Giovanni.

1968                 In gennaio ritorno a Milano dove faccio attività politica nei comitati: Vietnam, il Terzo Mondo. Imparo xerigrafia con la quale faccio una serie di manifesti.

Sono nel gruppo promotore di “Manifestazione d’arte di protesta”: …. La Triennale, Biennale ecc.

10/1968         Giuliano Vangi mi aiuta a entrare a scuola dove inizio la mia attività di insegnante.

Studio Merleau-Ponty, P. Klee, Kandinskij, Albers, Itten.

Collaboro con Attilio Marcolli e Paolo Minoli. Conosco Giorgio Soro con il quale stringo tuttora una grande amicizia. Con lui inizio                           a studiare “la percezione”.

Mi interessava soprattutto la situazione sociale della periferia di Milano.

Intervenni per i terremotati di Rozzano ecc.

Questo interesse mi coinvolse per circa tre anni ma se il suo principio era carico di tensione, divenne, col tempo, impegno ideologico fine a se stesso.

Ed è per questo che lasciai, nel 1971, questa attività.

Oggi posso dire che è stata fra le più intense e positive e i suoi valori umani e sociali non sono stati da me rinnegati. Credo che la nostra cultura non ci permetta ancora di vivere questi principi se non nell’ideologia.

Non ho confuso questa attività con la riflessione poetica perché ambedue presuppongono un rapporto di integralità.

10/1968         Tina e Marco tornano a Milano e aprono un laboratorio per riprendere l’attività della ceramica rielaborando le forme degli oggetti del periodo 1958-1960.

Il laboratorio ha sede ad Arcore.

1969                Vado ad insegnare all’Istituto d’Arte di Monza Dove conosco Silvestrini con il quale inizio Parallelamente a lui ricerche sul colore e sul linguaggio visivo in genere.

1970               In questo periodo leggo Foucault, Derrida, Eco, Barthes.

1971               Eseguo una serie di tavole didattiche che Saranno utili per il lavoro successivo in quanto mi hanno impegnato a un metodo per me nuovo.

In estate sono in Toscana per una consulenza, eseguo disegni di paesaggio e alcuni quadri.

Il contatto con questo lavoro mi stimolò a riprendere a lavorare per me.

Sempre in Toscana ho un rapporto con Lara Vinca Masini la quale mi invita a un dibattito e mi incita a riprendere entusiasmo per il lavoro.

1973                Tina e Marco hanno il lavoro già avviato ed io cosi posso avere una stanza dove lavorare per me.

La scuola mi ha permesso di riordinarmi le idee e di stabilire perciò il rapporto lasciato all’inizio. Incominciai perciò con esperimenti di impasti di terra, molti disegni su temi naturalistici (grandi mari azzurri con uccelli, foglie, labirinti, reti, muri ecc.). Cercai di rivivere le astrazioni che feci anni prima e ripresi i vecchi progetti di via Mortara, i segni che avevo sperimentato nell’informale, gli ultimi studi di semiologia e di didattica e cercai senza ansietà delle sintesi che mi aprissero una strada.

Studiai Gaston Bachelard, Empedocle, Eraclito e Parmenide. Anche se ero molto lontano da tutto ciò che accadeva nel mondo dell’arte mi rimasero impressi i valori sul mito di Kounellis, sulla tautologia di Fabro e sui materiali di Eva Hess. Non posso dire di essere rimasto indifferente ad alcuni stimoli dell’Arte Concettuale ma quello che mi premeva era il proseguimento di quella idea.

Lavorai con la carta pesta, cartone bagnato, cera, sabbia, cemento, garza, legno e terracotta.

Sperimentai la possibilità di interventi nel paesaggio con la fotografia.

Privilegiai il disegno e la terracotta con la quale feci una serie di piastre con impronte di alberi, foglie.

Quello fu il mio primo lavoro.

 Feci delle sfere una delle quali fu la “ Nascita ” che esposi a Milano.  Un’altra fu la  “ Bocca “ che esposi con altre simili a Francoforte.

1974                Feci un lavoro sulla “ nascita del seme “ e una Impronta sulla terra che sposi a Cadorago  nel 1975.

Parallelamente a questi lavori sperimentavo Tele e cartone. A scuola conobbi Paolo (Pietro) Coletta e Irma Blanck a cui feci vedere il lavoro e dai quali ricevetti delle indicazioni.

1975                Continuai ad approfondire il lavoro con le tele e le esposi all’Expo di Colonia e presso la galleria Casati.

Pino Spagnulo e Walter Valentini mi diedero una mano a rientrare nel mondo degli operatori dell’arte.

A Colonia conobbi Carla Pellegrini con la quale Si stabili un rapporto di collaborazione ed amicizia che dura tuttora.

Sono di questo periodo le tele trasparenti con le quali feci, alla galleria Milano, una mostra nel 1976.

Sempre di quest’anno è l’esposizione alla galleria Arte Struktura dove esposi una zolla di terra e due disegni.

1976                 In maggio feci la mostra già detta dove il Problema era quello di stabilire un rapporto Puramente tautologico con il materiale.

Erano delle tele trasparenti appese e staccate Dal muro. In un’altra stanza c’erano dei pavimenti di terra.

Mi interessa la tautologia perché è sempre sinonimo della verità, della cosa che nomino.

La distanza dal muro della tela è uno spessore, l’ho chiamato sguardo perché lo sguardo è uno spessore.

E la ricerca della distanza che ho stabilito di seguire perché un’arte che ho intravisto mi fa paura.

Preferisco pensare alle cose attraverso una modulazione della stessa luce che le illumina piuttosto di credere che sarò io ad abitare quella luce.

Non voglio essere abbagliato quando la morte, la follia e una vita diversa mi si avvicinano e mi avvolgono.

Amo i romantici, gli eroi, le grandi metafore, Nietzsche, i poeti suicidi, mi piace pensare che Esistono dei grandi uomini, che la forza non sia solo dominio e che la grandezza non sia semplice confidenza.

Ma credo di non essere un vigliacco se preferisco stare in una soglia dove non esiste il centro né il margine e la parabola, col suo punto all’infinito, è lontana.

Leopardi, Montale, Luzi, Carrà, Morandi, Licini, Martini, Fancello, sono la compagnia che preferisco. C’è tanto spazio, ci sono tante parole da dire che la poesia come l’arte può trovarle anche fuori dei clamori dell’avanguardia, lontano da esercizi di retorica e da suggestioni di successo.

A ogni artista è dato per definitivo un segno. Ho pensato spesso che l’arte potesse partecipare all’assemblea delle idee e che non dovesse rispondere solo a se stessa.

Ci sono dei linguaggi che sono paralleli a quelli di uso normale cosi come dei segni che precedono la parola o che ne sopravanzano la presa.

Ci sono degli uomini che debbono essere civili per essere artisti, altri onesti, altri ladri, altri infedeli o santi, altri non essere niente o tutto: quello che conta è fare dell’arte se la si sceglie.

La parola di ceramista porta di conseguenza un’immagine per crearne un’altra, diversa ma con almeno una differenza.

In una tautologia, fare della terracotta, non significa solo cuocere della terra. Infatti al contadino che chiedi che cos’è la terra lui ti risponderà che è quella che ara, non ti dirà mai cos’è.

Non basta segnare la terra per dire che cos’è. A me, lavorando la terra, invece interessa quella risposta.

Il discorso è più modesto e semplice di quello che può sembrare; anche Heidegger ha letto i poeti e questi le immagini ecc., è un giro.

Fare della terracotta, per me, è precedere le cose e le parole, fare con un’immagine quello che ancora della terra non è stato nominato.

Per Arturo Martini la terra erano le sue mani che volevano vedere, prima del pensiero, cosa sarebbe stato un mondo di forme. Penso che marmo, bronzo, la materia in genere gli era indifferente. Il nodo che stacca un essere dal mondo che l’artista cinese fa con uno spago può lasciare una traccia solo se fatto nella terra.

Per Lucio Fontana la terra era forse la migliore di tante altre superfici da violare, da capovolgere, da allontanare come l’artista del ‘400.

Per altri che vogliono pensare la terra, la terra è terra simbolica, la terribile grande madre che divora i propri segni, che è sempre presente nelle angosce perché è l’indifferenza come è indifferenza ciò che provoca una guerra.

La morte è indifferenza.

lo nella terra non cerco come la posso segnare o le immagini che la sua plasticità mi offre, né i suoi colori che evocano calore, ma cerco quei segni che si possono distaccare, che possono uscire da lei, e che mi è possibile carpire.

Preferisco quelle immagini che solo nella memoria me la ricordano, una memoria che mi dice quanto di più drammatico ci sia in quel distacco… Quindi il problema non è quello dell’archetipo ma quello della vita (o delle immagini) in quanto nascita.

Il volto che feci in pittura grigia nel 1960 e il volto di terracotta dentro spazi geometrici che modellai subito dopo, erano dei volti muti. Quello che cerco ancora è una necessità di dialogare con questa materia ma ciò che pago a questa necessità o che pagano i miei volti nello scambio è il silenzio perché la terra è muta.

Questi volti non ti guardano ma guardano in terra dove hanno Lasciato la loro parola.

Questo che dico: che la terra rossa è solo quella di Adamo.

Agli altri, come a me, spetta di trovare tutte le altre perché l’ignoranza non può nascondersi, come la menzogna, nella poesia.

Il tema quindi che mi induce a continuare la ricerca può riassumersi: cosa c’è fra la parola e il silenzio?

Questa mostra mi servì a capire e a riflettere sulla ricerca che fino a quel momento era ancora eterogenea.

Decisi di privilegiare la terracotta.

Feci tanti disegni con progetti e riportai questi nelle terrecotte che incollai su tavole e cartoni.

Sono per me le tavole sinottiche di un discorso progettato per tanti anni forse per quanti me ne rimangono da lavorare. È un lavoro durato parecchi mesi ma che mi preserva dalle brutte, equivoche e imbarazzanti situazioni dalle quali  per ingenuità e debolezza, non mi ero salvato prima.

Esposi a Gubbio, in una collettiva, un’autopresentazione nella quale stabilivo le distanze con la così detta “ ceramica ”.

In ottobre esposi a Brescia alla galleria Lo Spazio un progetto sui segni della terra.

Dopo i segni ho previsto le immagini E dopo di queste i racconti.

Esposi a Tokio un gruppo di lavori uno dei quali era un omaggio a Fontana (una specie di frutto rotto) che l’anno prima esposi a Faenza.

Esposi a Frechen, dove ho conosciuto Frank N. studioso e collezionista fra i più importanti d’Europa che mi acquistò alcuni lavori.

Esposi a Losanna al Museo Bellerive e uno di questi lavori era una ciotola a cratere con il titolo “ Il graal ” che per me ha un significato di partecipazione emotiva per un simbolo (allegorico).

Un altro lavoro che feci fu l’inizio di una serie intitolata  “ tangente ”.

Questo perché nel lavoro globale il vento che sfiora la superficie e l’acqua che entra nella terra sono delle tangenti: una produce il suono, l’altra la possibilità dell’uso.


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