Miklos N. Varga

Nanni Valentini: oggetti di pensiero
Pieghevole Galleria “Il Cortile” , Bologna, dal 19 aprile / 2 maggio 1980

Il crudo e il cotto della materia, primariamente assunti quali intermediari di un processo in atto da sempre, attraverso la coazione a ripetere della natura nelle strutture antropologiche dell’immaginario. Titolo del fondamentale libro di Gilbert Durand, secondo il quale il famoso  “problema dell’esistenza di una memoria affettiva non significa altro se non la possibilità di sintesi tra una rappresentazione reviviscente, mondata dalla sua affettività esistenziale d’origine, e l’affettività presente. Il ricordo più funesto è disinnescato dalla sua virulenza esistenziale e può entrare così in un insieme originale, frutto di una creazione.
Ben lontana dall’essere agli ordini del tempo, la memoria permette un raddoppiamento degli istanti, e uno sdoppiamento del presente, conferisce uno spessore inusitato al fosco e fatale flusso del divenire, e assicura nelle fluttuazioni del destino la sopravvivenza e la perennità della sostanza. Ciò fa sì che il rimpianto sia sempre penetrato di qualche dolcezza, e sbocchi presto o tardi nel rimorso.
La memoria infatti, permettendo di ritornare sul passato, autorizza in parte la riparazione degli oltraggi del tempo. La memoria appartiene certo al dominio del fantastico perché ordina esteticamente il ricordo.
Ma se la memoria ha certo il carattere fondamentale dell’immaginario, che è di essere eufemismo, essa è anche, con ciò stesso anti-destino e si leva contro il tempo”.
Questa citazione, liberamente sfruttata a scopo introduttivo, mi sembra affatto pertinente al lavoro di Nanni Valentini, forse perché le correlazioni emergenti inducono a ricercare memorie affettive attraverso la messa in opera naturale dell’immaginario.
Naturalità del crudo e del cotto, se “l’opera lascia che la Terra sia una Terra” (Martin Heidegger), simultaneamente, assunti nel processo di trasformazione manipolatoria dell’artista che viene configurandosi, operativamente, quale segno mobile fra i segni immobili, ma fluttuanti nell’immaginario del tempo. Così il gesto va in-contro alla forma, naturalizzando all’impatto fisico l’attraversamento psichico della materia, la quale diviene corpo agito sul luogo d’azione divenuto. Non più materia come reperto archeologico, o finzione mimetica di un nostalgico ritorno, bensì come Terra di quegli oggetti di pensiero che racchiudono in se stessi le tracce di un complesso itinerario formativo, appunto contiguo alle strutture antropologiche dell’immaginario.
Il corpo della materia genera l’imperfetta sintesi dell’immagine, in quanto l’ambiguità speculare dell’opera riflette l’atteso affioramento di quei segni arbitrari che l’artista sollecita, ma non organizza razionalmente, interrogando la propria disponibilità a realizzare l’essere nel fare, forse con la segreta aspirazione a materializzare nel fare l’essere in divenire.
D’altronde Nanni Valentini, attento lettore di Gaston Bachelard, sa perfettamente che il nostro essere passato si immagina di rivivere, come del resto per andare fino agli archivi della memoria, bisogna trovare dei valori al di là dei fatti.
Certamente: “Per rivivere i valori del passato, bisogna fantasticare e sognare, bisogna accettare la grande dilatazione psichica delle rêverie, nella pace di un grande riposo. Allora la Memoria e l’Immaginazione rivaleggiano per restituirci le immagini che appartengono alla nostra vita”. Appunto, le immagini della nostra vita, del nostro in-contro primordiale con l’esperienza contaminata del vivere: il vivere a fronte dell’esistenza, l’essere interpretato nel fare, l’anti-destino della materia al rispecchiamento della deperibilità umana.
Linguaggio di segni rivelati, oppure segni di un linguaggio nascosto?

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