In “Nanni Valentini, il vaso e il polipo”, catalogo della mostra personale (con testo di M. Meneguzzo), Galleria Vera Biondi, Firenze, febbraio 1982
Da quando lavoro l’argilla mi ha sempre mi ha sempre accompagnato il pensiero che l’antico filosofo ha espresso sulla natura: “La sostanza delle cose che hanno il principio del movimento in se stesse”.
Quindi anche la terra ha chiamato l’uomo per scegliere, con l’idea di una convessità, dei contenitori che gli fossero utili.
Ma la forma così nascosta ha rivendicato la sua presenza; e quegli oggetti furono dcorati con ritmi, animali, storie, fiori, foglie fino a che un artista sprovveduto ha rappresentato sul vaso un polipo.
Anche se al suo interno c’era il racconto dell’eroe diventato neuma, il vaso fu intrappolato da quei tentacoli, la sua ansa bandita e dispersa (anche se ad essa si sostituì il serpente come legame con il mondo). Ma il mito si è vendicato pietrificando il mostro sulla superficie (pietra d’Adamo?).
L’amico mi dice che al vaso appartengono le geometrie della mano, che la foglia era una sua misura, il polipo una sua comprensione, che esso può partecipare simmetricamente al vuotocome contenitore di echi e di fiato e al pieno come contenitore di nutrimento e di semi; così come la sua superficie partecipa all’esterno al campo delle tangenti e all’interno al campo della centralità ( in mezzo a questo continuo si è posto il poeta).
Il polipo invece segue fuori da sé il proprio destino; La sua ricerca è quella del volto. Il mostro, il medesimo, le parole senza colline, mare, sole, sono tutte riflesse in quelle piccole eidola. Ma la terra non la si può assimilare al silenzio del poeta (quello traforato dalla parola), perché il suo è il silenzio del seme. In lei non c’è l’orizzonte della differenza né la materia per i simulacri, ma ci si può ritrovare l’ansa dispersa del vaso.
Il vaso, il polipo, la terra desiderano perciò ritornare separati.
Io ho cercato di operare nel verso di questo annuncio con uno sguardo senza attese che modulasse questo tempo.
Dedico questo lavoro al ceramista Alfonso Leoni.