La collezione della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea
CRT PER Torino e il Piemonte, a cura di Marcella Beccaria e Elena Volpato, edizione Archive Books, Berlin 2010, pag. 458
Valentini ha scelto la terra come sostanza e luogo insieme. Vi ha individuato la materia della memoria. Vi ha trovato la capacità di rispondere con un ciclo di distruzione e creazione al bisogno dei segni di apparire e dissolversi, di rinascere ad ogni istante. l’artista stesso, dotato di una capacità di scrittura inusuale, ha scritto le origini e le ragioni della sua arte:
“La materia e la tecnica espressiva che ho privilegiato è quella della ceramica, specificatamente della terracotta. Come la pietra lega la torre al suo ambiente, diventando essa stessa manifestazione e ritmo del luogo, così nel mio intento la terra vuole diventare traccia e manifestazione di un continuo. Infatti se consideriamo alcuni aspetti del suo contenuto simbolico, troviamo nella terra madre il mito del Figlio-Antenato: antenato come un già essere nato e preservato nella terra, e solo dopo, manifestato. Possiamo considerare l’argilla come traccia della continuità del fiume; trasportata infatti dall’acqua essa si deposita nelle anse, si decanta e diventa la parte più filtrata della terra. Possiamo immaginare l’argilla come il momento centrale di una dialettica acqua-fuoco, oppure come materia del vaso, ossia materia che lega in continuo il centrifugo e il centripeto.
Il vaso cretese ove sta dipinto un polipo che tenta di afferrare l’orizzonte, che gira all’infinito attorno al proprio asse, è forse l’immagine più pregnante”.
(Negli appennini centrali…, in Birth of the work. Five Italian Artists in U.S.A., Harbor Gallery, University of Massachusetts, Boston, 1979).
Il continuo fluire della materia, in morti e rinascite, prende forma nella sua opera in spirali appoggiate al suolo, come fossero fossili di antiche conchiglie incastonate nella pietra che calpestiamo, in qualche modo memori della liquidità del mare che un tempo abitarono. La sua terra si rapprende nella forma archetipica della casa, aperta al cielo come una rovina, semplice ed essenziale come il simbolo quadrato da cui ebbe origine uno dei primi geroglifici e la lettera beta che ancora compone il nostro alfabeto. O ancora, compone lunette sulla parete bianca: architravi, soglie e portali di uno spazio che doveva consegnare a lui, come a tutta la generazione a cui l’artista appartiene, un piano e una profondità infiniti che la tela del dipinto non era più capace di contenere.