La geometria del ceramista (lo stupore è ancora dentro il vaso)
in Un ombelico per Empedocle, catalogo della mostra, Galleria del Falconiere, Falconara, giugno 1978
Mentre nel grande laboratorio positivista “Nuova Civiltà & Progresso”, sembrava che stesse per compiersi la “sistemazione” del cosmo nella Logica, (con la nominazione del visibile naturale, con la filologia della storia e scientificamente persino l’occulto), l’incrinarsi di qualche provetta fu sufficiente a spezzare l’incantesimo; a relativizzare l’universo scatenando gli spettri. Furono “incidenti sul lavoro”, come quelli occorsi a Freud e a Einstein, a scoprire crepacci incandescenti nel ghiacciaio dell’oggettività.
Vistasi scoperta, l’egemonia borghese – (stante che la gestione capitalistica del sistema tecnologico può rinunciare all’oggettività assoluta, purché si salvino la prevedibilità e la ripetibilità dei processi) – provvide a divaricare Cultura e Tecnica, Scienza e Tecnologia: la Geometria degli scienziati si sarebbe occupata delle estensioni, mentre al tecnico-geometra restava affidata la delimitazione dei recinti!
Deciso a esercitare soltanto la dimensione cultural-scientifica (anticamente si sarebbe detto “filosofica”) del procedimento, Nanni Valentini lavora alla “sdelimitazione” della Ceramica.
Consistendo quest’ultima arte nella misurazione della terra con il fuoco, egli si occupa di una geometria delle estensioni praticata in maniera erratica e piratesca, dove la qualità del prodotto non esiste (perché non esiste prodotto), ma esiste solo una traccia, la rotta, e il bottino qualitativo delle “geometrie” depredate.
Il senso dell’operazione può sfuggire se non ci si rende conto delle condizioni nelle quali si trova a lavorare realmente il ceramista stanziale: preso nella tenaglia dell’invenzione e della vendibilità, esso è costretto a darsi-imprigionarsi nella singolarità di una “sigla”, a immiserire la propria immagine nel ruolo neomedievale dell’artigianalità, a violentare l’imponderabilità del processo nel nome della produzione, a reprimere l’infinita spontanea naturalezza del formarsi dell’argilla nel nome della astratta immutabilità degli universali euclidei. È che, in realtà, il Ceramista sa che non esistono due terre uguali, né due fuochi che cuociano allo stesso modo; sa che la cottura non è solo questione di calore, che il processo non è il “prima-e-dopo” ma il “durante” e che non esiste manualità che non sia intelligente, né Filosofia fuori dalla Tecnica.
Considerato il tardo Positivismo (con tanto di implicazioni di natura Simbolista, a corredo) nel quale la Ceramica si tortura, si comprende come la navigazione di Valentini volga verso quello che Argan, in un recente articolo su “L’Espresso”, ha definito il “[…) limbo tutt’altro che deserto e silenzioso delle discipline spente: […] già alla soglia di una scienza irrazionale, con le radici nell’inconscio”. Di qui il riferimento ansioso alla filosofia presocratica dei quattro elementi, del caso e dell’inclinazione, della circolarità del Cosmo e del suo fluire naturale continuo e ininterrotto, regolato dai principi ineffabili della pulsione e della repulsione.
Giacché “la terra non è quella cosa che sta sotto il cielo” e l’ombelico in oggetto è la bruciante cicatrice della nascita del pensiero occidentale sulla base dei principi della Logica aristotelica.