Il vaso e il polipo
Catalogo della mostra, Galleria Vera Biondi, Firenze, 15 gennaio / 16 febbraio 1982
L’intervento concettuale e operativo di Nanni Valentini sulla materia potrebbe assomigliarsi a quello di chi intacchi con una tenue, lieve, forse esile traccia la superficie delle cose, per imprimervi la memoria, volutamente labile, del proprio esistere, di fatto, la sua indagine va ben oltre, incide nel profondo, fino a sondare il segreto della materia. Le terre di Valentini ritornano al loro luogo precipuo, vengono “restituite” alla loro sede originaria, alla terra.
alla Grande Madre, direbbe qualcuno: pochi segni testimoniano del lungo lavoro sotterraneo dell’artefice: gli ossidi, i cretti, la materia macerata, decantata, consumata dal tempo contengono il lavoro dell’uomo e sembrano dimenticarlo. Pare quasi che il nucleo poetico di Valentini risieda in questo annullarsi, nel ritorno della materia lavorata al suo stadio primigenio, come se I’ “eccitazione” della materia da parte dell’intervento razionale, umano, costituisca un momento transuente, in fondo poco importante, e che il fine della sostanza, della terra, sia invece quello di riconquistare l’entropica tranquillità perduta.
Le terre, il cotto, il crudo, il secco, sono “stazioni” della materia, paradossalmente evolventi verso il punto- zero, verso l’assoluta quiete. In questo senso vanno considerate le memorie, biologiche e culturali, che traspaiono nelle opere di Valentini, che affiorano, ancora per poco, dal magma pietrificato, bloccato: il polipo e la sua impronta, segnati sui frammenti della grande anfora, rimanda certo allo stile naturalistico del Minoico Tardo I, ma sono anche ricordi più lontani, che affondano le loro radici nell’infanzia dell’umanità, e questa intellettuale e poetica regressione ha il suo corrispettivo nel contemporaneo ritorno della materia allo stato iniziale.
Antiche simbologie si fondano, si mescolano nel caos che precede il cosmo, per costruire una nuova cosmogonia: il concavo e il convesso, una superficie che si piega e diventa spazio tridimensionale, condizioni prime dell’anfora, del vaso (non inteso soltanto come recipiente materiale, ma anche come contenitore spirituale) sono già un primario sistema cosmogonico, che racchiude in sé infinite possibilità anche espressive.
“Il vaso, il polipo, la terra – scrive Valentini – desiderano ritornare separati”: una forza esterna, la volontà del demiurgo, li ha costretti insieme, ma la violenza del gesto poco a poco si spegne, l’inerzia della materia o, meglio, i suoi lentissimi mutamenti interni prevalgono, cancellano l’aggressività dell’intervento umano.
E il lavoro di Valentini si pone vicino al punto-limite, indaga i moti inferiori alla materia nel suo tendere verso l’immobilità, sondandone però la ricchezza nascosta quando essa è ancora – per usare termini aristotelici – “potenza” e non “atto”, quando cioè i processi interni alla materia non si sono ancora fermati, cristallizzati nella fissità senza tempo, cui ogni cosa sembra tendere.