Umberto Galimberti

La disposizione della terra
In “Nanni Valentini”, catalogo della mostra, Padiglione d’arte contemporanea, Milano, 19 gennaio / 20 febbraio 1984

Nanni Valentini non fa figure, perché le figure vengono dopo; non fa un discorso, perché il discorso è successivo. Di ciò che è dopo, di ciò che è successivo dicono tutti, ospitati dal linguaggio che ormai si parla da solo. Non autori, ma semplici portatori di segni che il lin­guaggio, col suo nascere ha già assegnato.
È di questa as-segnazione dei segni che si occupa Nanni Valentini, quindi non del linguaggio, ma del suo limite che è da rintracciare là dove, quello che noi conosciamo come distinto, è unito, non nella forma coerente del Logos, ma in quella incongruente del dia-logo.
Dia-logo non è una parola tranquilla, anzi non è neppure una parola, ma tensione tra parole.
Contiene infatti quel dia che rintracciamo in diametro come unione dei massimamente distanti. Altro che scambio di parole. Il dia-logo è esasperazione del conflitto, unione degli incongruenti, dislocazione dei luoghi. I quattro capitelli di Nanni Valentini sono lo s-quadernarsi dei quattro, non la quadratura del cerchio a cui tendono tutte le nostre parole.
Sono scontro e opposizione, ma anche assimilazione che aduna. Il luogo che ospita la loro dis-locazione è la storia che non ha mai proceduto per successione di eventi, ma sempre per opposizioni assimilate.
As-similare opposizioni significa vederle in quella nascosta similitudine per cui l’argilla che imprigiona è la stessa che il deserto libera, l’albero che dal seme si dischiude è lo stesso che il seme racchiude. Al di là delle appariscenti opposizioni, di cui si nutre il nostro linguaggio, c’è la loro sot-terranea com-posizione. La terra, infatti, è quel limite al di là del quale ci sono quelle differenze che al di qua sono indissolubile unità. Per questo la terra è simbolo nel senso greco della parola: sym-ballein che significa “mettere assieme”.
La terra, sotto di sé, costituisce quell’unità che, sopra di sé, dispiega come differenza. In questo senso Nanni Valentini non opera con i segni che appartengono al discorso, ma con i simboli che sono al limite del discorso; non opera con la terra, come solo la superficialità di un appartenente alla civiltà della tecnica potrebbe dire, ma nella terra, per vedere che cosa si compone quando la terra aduna e che cosa si scompone quando la terra rilascia.
Il respiro della terra.
In questo respiro, che non ha nulla della tranquillità del sonno o del sogno, i tredici frammenti del mito di Osiride possono essere descritti perché sono differenti abbandonati dall’indifferenza della terra, come lo era il vaso di Firenze abbandonato dal polipo. Essi sono i figli della distribuzione del vaso, della deriva della terra. Ma che ne sarà di loro quando la terra, dopo la deriva, tornerà in sé?
La terra, infatti, anche quando va alla deriva, si riserva di tornare in sé. Qui finisce la possibilità della descrizio­ne, perché al logos e al suo cosmo succede il caos, lo sbadiglio della terra, che divora tutte le cosmologie e tutti gli ordini che gli uomini tentano di dare alle cose dispiegate sulla terra.
La terra, infatti, non ha solo un sopra dove si edificano le opere (d’arte), la terra ha anche un sotto che non è e-sposizione, ma dis-posizione, nel senso forte di chi dispone dell’essere e del non essere di tutte le cose. Nanni Valentini si occupa della disposizione della terra.

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