Umberto Galimberti, conversazione con Daniela Omodeo

L’arte di Nanni Valentini: tra simbolo e mito
in Nanni Valentini, tra simbolo e mito, catalogo della mostra, Galleria Milano, Milano, 16 marzo 1988

Omodeo:  La cultura contemporanea sta recuperando l’interesse per il mito e per il linguaggio simbolico. Ma spesso non si ha chiaro cosa si intenda per mito, e quale sia il rapporto tra mito e simbolo.
Galimberti:  È vero che la cultura contemporanea sta recuperando interesse per il mito e il simbolo, ma solo perché è annoiata dalla ragione.
E allora vale la pena di fare una differenza; la ragione nomina le cose con esattezza, per cui ad esempio la parola disegno vuol dire che rinvia a un segno preciso – Nanni Valentini invece diceva che se fai Narciso e poi lo indichi, non fai più Narciso – …ecco, la ragione è un linguaggio preciso, che nomina le cose per quello che sono. È un linguaggio comodo, ci si intende tutti, ma per nominare le cose bisogna sfrondarle, ridurle, impoverirle. Oggi la gente è annoiata dai segni della ragione e allora cerca delle varianti. Quasi tutta l’arte contemporanea si ferma sulla variante del segno; il simbolo è esattamente il contrario del segno, perché il segno è perfettamente riconoscibile, tutti sanno riconoscere un segno, invece nessuno potrà mai dire cosa significhi un simbolo. I simboli sono una pregnanza di significato che non si riesce a esplicitare; simbolo vuol dire mettere assieme, sym-bal- lein. Quando lo si riesce a spiegare il simbolo muore, diventa segno. Secondo me oggi quelli che fanno arte astratta, lo dico così, io sono un profano, fanno una sommatoria di segni. Il simbolo in quanto tale richiede almeno due cose; uno, che abbia una pregnanza di significato che non riesca a essere esplicitato con gli strumenti che oggi noi abbiamo; non un’impossibilità che dipende dall’incapacità dell’autore, né dall’incapacità di chi “vede”, ma semplicemente racchiude un significato che non si riesce a produrre, a tradurre, a trasmettere. Due, nella dimensione simbolica si richiede la partecipazione di colui che esprime questo simbolo, come se il simbolo mi pervadesse e io divento il suo portavoce. La parola ebraica “profeta” vuol dire “colui che parla al posto di”, oppure la parola greca “entusiasmo”, colui che parla avendo dentro di sé “en theòs”, un dio. Allora quando si opera con una dimensione simbolica, per prima cosa noi non ci siamo più, siamo solo i portavoce di un “autore” che è il simbolo, che ci prende e a cui noi prestiamo voce ma non siamo autori, … ecco perché Nanni Valentini parlava di dimissione dell’io. Il simbolo è infine una pregnanza di significato non traducibile nei segni e di cui io non sono l’autore ma il portatore. Per cui l’artista vero non è un autore ma portatore di una pregnanza di senso non traducibile con il linguaggio che noi abbiamo a disposizione (cioè quello basato sul principio di non contraddizione). L’artista ha il vantaggio rispetto agli altri uomini di essere portatore di una significanza eccedente le possibilità discorsive che sono a disposizione di tutti. Non è autore il vero artista, e Nanni Valentini, di questo era ben persuaso. Gli artisti che vogliono essere autori sono soltanto dei fattori di segni.

O.:  Dunque si può dire che l’arte usa il linguaggio simbolico?
G.:  Quando l’arte è arte, usa sempre il linguaggio simbolico, perché l’arte dovrebbe essere parola non udita. Il mito mette insieme una frazione di noto con una frazione di ignoto. Allora l’arte funziona solo se usa il noto non per notificare le cose, ma per chiamare il noto con cui quel noto è correlato. Quando l’arte è arte parla senz’altro simbolicamente, cioè chiama la parte assente… Mito. Mythos, mito vuol dire parola… perché il mito è importante? Il mito espone le cose come si sono generate mentre il logos – contrapposto al mito, il concetto, la parola – dimentica la storia delle cose e ne dà l’istantanea per cosa significano oggi. Allora parlare in termini mitologici significa arrivare a descrivere la cosa raccontando la sua genesi, i miti sono sempre genealogie, arrivano alla cosa attraverso la narrazione… e alla fine si arriva a constatare che non poteva essere che così avendo sentito tutta la storia…

O.:  Cioè si arriva al punto di partenza…
G.:  Esatto, il mito è sempre circolare, e ha la capacità di raccontare le traiettorie segrete comuni a tutti gli uomini, e perciò di fare entrare ciascuno nel racconto. Il mito è un racconto femminile, non maschile…
Il mito offre una narrazione nella quale tutti possono entrare, e tutti vi riconoscono la loro verità, mentre il logos, attribuendo alle parole un solo significato, fa in modo che tutti intendano quella cosa lì; ascoltando un mito cinque ascoltatori capiscono cinque cose diverse, ciascuno trova la sua verità. Il mito è una trasmissione discorsiva che ha come orecchio l’emozione dell’altro, e allora l’altro è mosso a entrare nella storia, non è una storia che si ascolta con le orecchie, il mito… Al mito bisogna arrivare, bisogna essere coinvolti nella storia. Oggi di miti non ce ne sono più, l’unico mito è quello della tecnica…

O.:  Nanni Valentini affermava che mito e simbolo sono un punto d’arrivo. Allora mito come nucleo della conoscenza o mezzo per arrivare alla conoscenza?
G.:  Lui diceva giustamente che ai miti e ai simboli si arriva; perché noi partiamo da un linguaggio demitizzato, da un linguaggio segnico. Solo quando si è saturi di parole e di segni si può incominciare a sospettare un linguaggio non preciso, non definitorio, allusivo a significati eccedenti a quelli pronunciati, questo è simbolo, questo è mito. Il mito è quel racconto dove ognuno trova il proprio simbolo. Al mito e al simbolo dunque si arriva, e guai a coloro che pensano di poter interpretare i miti. Interpretarli significa ridurli ai nostri significati.

O.:  Potresti chiarirmi rapporto tra mito e simbolo?
G.:  Potremmo dire che il mito è una specificazione del simbolo. Il simbolo è una dimensione che mette assieme, è un’azione. Il mito è il residuato, il prodotto narrativo di questa tensione, la quale però è feconda per un’infinità di altre narrazioni; quindi il mito è già un raffreddamento dell’azione simbolica. Il mito è già un risultato dell’azione simbolica, perché ci sono tanti miti per dire uno stesso simbolo; diverse sono le narrazioni, identica è la dimensione simbolica. E mentre ci sono artisti, che per me non sono artisti, che partono dal mito e lo narrano, lo illustrano, Nanni Valentini, invece dal mito arriva al simbolo; questa mi sembra la cosa più importante.

O.:  Valentini dunque “smembra” il mito per arrivare al simbolo?
G.:  Proprio così.

O.:  Nanni Valentini si poneva nella posizione dell’ascolto, condizione necessaria perché la terra gli parlasse…
G.:  Infatti un conto è la mia parola che nomina le cose, e un conto è invece quando le cose parlano, e naturalmente il proferito sarà non più che sotto forma di accenno. L’informe di Nanni Valentini – le sue figure sono informi – ha un po’ il carattere dell’oracolo di Delfi che non dice e non tace, ma “fa segni”, accenna. Nanni è un operatore simbolico, si lascia pervadere da una pregnanza di significato non traducibile con il linguaggio ordinario e la pronuncia, la annuncia, poiché il senso è indicibile. La sua caratteristica è che lui la sua pregnanza di significato la andava a cercare nelle cose più semplici, cioè cose una fessura, cos’è un’ombra, cos’è una statua – un pieno e un vuoto? – che rapporto c’è tra la cosa e il suo sfondo… cose semplici, poiché non si tratta di inventare delle metafisiche, perché è proprio l’inosservato medio quello che solitamente non si osserva.

O.:  Ciò che sta “tra”, come diceva lui, tra il visibile e il tattile…
G.:  Benissimo, perché toccare vuol dire usare, vedere vuol dire contemplare. Mettere insieme il visibile e il tattile, percorrere la via di mezzo… fa venire le vertigini… Ci vuole una gran sensualità per questo, cioè noi occidentali siamo abituati che toccare vuoi dire che la mano tocca un oggetto, non pensiamo che anche la mano venga toccata dall’oggetto, la mano è anche una cosa che sente, ma noi abbiamo perso questa sensibilità passiva dove anche la mano è ascolto; Nanni Valentini questo lo aveva capito bene… Da sempre la statua è il perimetro, è uno spazio pieno, la ricerca è interessante quando ci si pone da di dentro. E questa è già una pregnanza simbolica, porsi dal punto di vista dell’inconsueto.

O.:  Infatti il suo interesse per la casa in scultura era, oltre per tutta la simbologia che la casa raccoglie, per il fatto che la casa è la scultura del concavo rispetto a quella del convesso.
G.:  Volendo usare delle categorie molto grosse si può dire che il suo atteggiamento è molto antioccidentale. L’occidente è sempre un pronunciamento, quindi il convesso, l’oriente è molto in ascolto, quindi il concavo. Se dessi Nanni in mano allo psicanalista, ti direbbe che la sua arte è una gran descrizione del femminile, a cominciare dalla terra, alla casa, altro elemento materno, alla statua che lui vuol vedere dall’Interno… femminile vuol dire un luogo dell’accoglienza e dell’ascolto rispetto al luogo maschile dell’espulsione e del pronunciamento. Che un uomo si ponga dal punto di vista del femminile, è un bel disastro, voglio dire può essere rischioso… e poi lui non aveva nulla di femminile, tranne questa enorme sensibilità…
Nanni si poneva dal punto di vista del vuoto. Il vuoto è essenziale, è l’intervallo per cui noi possiamo parlare, il vuoto è la condizione per cui le cose assumono il loro aspetto… quest’oggetto lo percepisco non perché è pieno, ma perché c’è il vuoto che me lo delimita… Ecco, vedere le cose dal punto di vista del vuoto… il simbolo come assenza di significato perché intraducibile in un significato preciso, sviluppa quel vuoto intorno cui la gente si raccoglie, per trovare quel significato che poi non arriva mai a trovare.

O.:  Si può evocare…
G.:  Evocare significa chiamare, possiamo dire invece che sono i simboli che ci chiamano, non siamo noi che chiamiamo i simboli. Come quando uno è preso da un’emozione…
Abitare la dimensione simbolica significa frequentare tranquillamente la pazzia, il rischio della ragione… frequentare i simboli – lui parlava di dimissione dell’io – quando l’io cede, viene fuori il diavolo…

O.:  Considerare le cose in relazione con i loro opposti, questo è il linguaggio simbolico?
G.:  Esatto. Chiamare, è la parola giusta. I tedeschi hanno la parola “heissen”, “Wie es heisst”, che cos’è una cosa, ma anche come si chiama… Se queste sono le cose e questo è l’uomo, nel modo di vedere comune l’uomo chiama le cose nel senso che le nomina.
Nanni Valentini si lascia chiamare dalla cosa, si lascia prendere da lei e questa gli cede il suo significato, che non è certo racchiuso nella nominazione… Le cose parlano, e chi sono i più bravi ad ascoltare? Coloro che non hanno l’io, i bambini, i pazzi, forse i vecchi, per i quali un elemento chiama la totalità…

O.:  L’ultimo argomento che Nanni ha trattato e che probabilmente non aveva esaurito è stato “l’angelo”…
G.:  Quando lui ha cominciato con l’angelo, io ho smesso di seguirlo, perché volevo vedere… perché ci influenzavamo troppo a vicenda. Dunque, con la casa faceva l’interno, quando faceva i volti erano vuoti; e a questo punto doveva fare l’angelo, l’aspetto dell’uomo senza la corporeità. Sul lavoro dell’angelo io ho un’idea, personale però, cioè che dopo tanta terra, devi arrivare al cielo… lo ho una scultura nel mio studio che mi ha dato nel 1983, della terra e del cielo, ecco dopo tanta terra, doveva arrivare al suo contrapposto, il cielo…

O.:  Dunque l’angelo non come figura di mediazione?
G.:  Questo è già culturale, secondo me. Invece l’angelo è il contrappeso della terra, è come se lui a quel punto avesse guardato la terra nello specchio, nello specchio del cielo.
Dalla terra non si è mai mosso, l’angelo secondo me era una figura celeste per vedere come si vede la terra dal cielo, faceva parte di quel impalpabile… perché le sue terre non sono “pesanti”, non vedi il peso della terra, e allora questo potrebbe essere interessante, lui prende la cosa più pesante, la terra, e la offre nella forma della “levitas”, della totale leggerezza, allora qui hai il simbolo terra-cielo, il più potente…

O.:  Non ha forse Valentini scelto la materia più umile, la terra, per poter avere un rimando in alto, nello spirito?
G.:  Sì, questa è un’idea importante. Ma perché la terra parli dello spirito devi toglierle la pesantezza, la gravità. E qui è l’operazione simbolica, ma non è facile… tenendo conto poi che lui non ragionava prima… a lui i pensieri venivano dopo, non aveva un’idea per cui dopo faceva la cosa, erano le cose che si facevano attraverso lui… l’artista non autore, è profeta.

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